di Francesca Loi
Pane per amore è il vostro slogan, da dove nasce la vostra passione per l’arte della panificazione?
Mio fratello Sandro sin da ragazzino faceva il garzone al forno e in casa mia madre ogni settimana preparava il pane e lo cuoceva nel forno a legna. Da lei abbiamo imparato ad usare il lievito naturale, su framentu sardu, una porzione di pasta acida che viene conservata da una panificazione all’altra. Mia madre lo conservava da tanti anni e se una vicina lo chiedeva lei era obbligata a dargliene un pezzo, come da tradizione. Talvolta capitava che si guastava allora si chiedeva in vicinato e chi lo riceveva doveva a sua volta restituirne una parte quando il donatore ne avesse avuto bisogno.
Noi lo abbiamo ricevuto da una signora di Villasalto, trent’anni fa, e lo usiamo per la preparazione dei nostri pani. Tutt’ora se qualcuno ce lo chiede siamo obbligati a prestarlo senza farci pagare e se noi lo chiediamo devono restituirlo. Poiché in Sardegna il pane si è sempre fatto sin dalla preistoria e su framentu si tramanda e si mantiene vivo in questo modo, possiamo affermare che il nostro pane contiene enzimi che risalgono a qualche migliaio di anni fa.
Quali tipi di pane tipico sardo escono quotidianamente dai vostri forni?
Tutti i giorni sforniamo tante varietà di pane, facciamo anche il pane biologico. Tra i pani della nostra tradizione prepariamo su civraxu di San Vito, su pani biancu, sa pratzida, su pani pintau. Quest’ultimo richiede una lavorazione molto accurata, tant’è che abbiamo un modo di dire che usiamo quando una persona ha difficoltà a svolgere un’attività per lui particolarmente complicata: no ses mancu fadendi is pintzas (non stai mica facendo i decori del pane).
Nel vostro panificio usate varie farine ottenute da un grano antico, facilmente digeribile, ottimo per tutti e in particolare per i ciclisti proprio per il suo elevato potere energetico. Di cosa si tratta?
Il grano Senatore Cappelli è un tipo di frumento ottenuto dal genetista Strampelli, che lo dedicò a Raffaele Cappelli, senatore del Regno d’Italia, per averlo sostenuto nel suo lavoro mettendogli a disposizione i suoi campi. La pianta è più alta delle varietà attuali e contiene un’alta percentuale di vitamine e minerali. Si tratta di una specie eletta che è coltivata solo in pochi luoghi. In Sardegna la troviamo a Nurri, dove per i nostri prodotti acquistiamo la farina integrale di grano Cappelli, certificata, biologica e macinata a pietra.
In Sardegna avete aperto ben undici punti vendita, ma chi sono i Fratelli Marteddu?
Siamo tre fratelli, Dino Sandro e Piero. La nostra azienda è nata nel 1986, sono passati trent’anni da quando i miei fratelli hanno cominciato, rilevando un’attività di panificazione. Io allora facevo tutt’altro, mi occupavo di lavori di movimento terra in Africa e Medio Oriente. Cinque anni dopo ho lasciato il mio lavoro all’estero e sono tornato in Sardegna per unirmi a Sandro e Piero in questo che è diventato il nostro lavoro.
Oltre al pane, producete anche focacce, pasta fresca e dolci. Quali sono i dolci della tradizione sarda che preparate nel vostro laboratorio?
Con le mandorle facciamo is guefus, gli amaretti, su gatou, poi is pàrdulas a base di formaggio, e su pan”e saba che si fa col mosto concentrato ma che anticamente si faceva coi fichi d’india. Ultimamente stiamo valorizzando un antico dolce tipico del Sarrabus (la nostra zona di provenienza) che si chiama su cixirau. Era il dolce della tradizione natalizia e si faceva coi ceci, la saporita, lo zucchero, il caffè e la cannella.
Tra le vostre specialità ce n’è una che non dovrebbe mai mancare nello zaino-pranzo del ciclista?
Si, sa pratzida: un pane tipo civraxu ripieno di verdure e condito con olio extravergine d’oliva. Anche questa pietanza appartiene alla nostra tradizione del Sarrabus. Quando le massaie si dedicavano alla preparazione del pane non rimaneva loro il tempo per cucinare il pranzo, così nacque un piatto unico fatto col pane e le verdure che si trovavano nell’orto a seconda della stagione: melanzane, pomodori, patate, funghi, cipolle, porri… Dopo aver cotto il pane, quando il forno era spento ma ancora sufficientemente caldo, vi cuocevano sa pratzida e il pranzo era servito.
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